giovedì 10 maggio 2012

Parlo il dialetto e non me ne vergogno

Sono una di quelli che di solito e più che volentieri parla il dialetto. Vuoi perchè mi piace, vuoi perchè lo si parla a casa, vuoi perchè con mia nonna non potrei più di due minuti parlare in italiano. Ma non mi faccio mancare la frase in dialetto anche al bar con gli amici.
Il dialetto tante volte viene in mio soccorso. E sì, perchè ci sono situazioni, sensazioni e momenti che non potrebbero essere detti se non attraverso il dialetto, senza troppi giri di parole. Basta il suono di un "efes" per esprimere un sentimento di meraviglia.
Spesso però, c'è chi  vede come una scurrilità parlare il dialetto. Spesso c'è chi si sente quasi imbarazzato dalla presenza di chi lo parla, come se quella stessa lingua appartenesse solo a chi la pratica, senza sapere che è lui che compie un errore. L'errore di non parlare il dialetto e di non portare avanti  la tradizione che quell'idioma possiede. Se guardiamo all'etimologia della parola idioma (dal latino idioma , "peculiarità" ) non possiamo non apprendere che il dialetto è espressione propria di una lingua, è ciò che la caratterizza, che la rende peculiare. E non parlare quella lingua significherebbe spezzare la catena, vorrebbe dire troncare la sua storia.
Ricordo con affetto un'esperienza fatta con alcuni compagni delle scuole medie: un'esibizione col gruppo folk della scuola. Ci esibimmo con canti in dialetto venosino e trovammo una platea contenta di averci ascoltato. A fine spettacolo il presentatore fece una sua riflessione sull'importanza di tramandare la lingua dialettale, invitando     
i più adulti a non ammonire i più giovani che parlavano il dialetto.
Non permettiamo che si vada cancellando ciò che ci caratterizza. Stamattina, mi sono imbattuta in un articolo su Repubblica.it che denuncia la quasi scomparsa di alcune lingue. Vi lascio alla lettura del pezzo.
http://www.repubblica.it/scienze/2012/05/09/news/lingue_in_via_d_estinzione_solo_internet_pu_salvarle-34473862/?ref=HREC2-16

8 commenti:

  1. “Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”. Così scriveva Pier Paolo Pasolini in Dialetto e poesia popolare, testo critico del 1951 dedicato alla differenza esistente tra poesia dialettale e poesia popolare.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. preferisco non essere contadino e non essere come pasolino.................

      Elimina
  2. Pasolini vedeva nel dialetto l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato. Come tale doveva essere “protetto”, per questo – nel 1943 – aprirà una scuola per l’insegnamento del friulano accanto all’italiano. L’esperimento verrà bloccato sul nascere dal provveditorato di Udine, ma Pasolini lo riproporrà due anni più tardi con la fondazione dell’Academiuta di lenga furlana, una sorta di laboratorio linguistico attraverso il quale cercherà di rendere onore al friulano occidentale, fino ad allora realtà linguistica soltanto orale, rintracciandone le radici storiche trecentesche e nella tradizione romanza.....
    Academiuta de lenga furlana ..... Accademia dei rinascenti .... quanti progetti potrebbero portare avanti questi rinascenti !!!!!

    RispondiElimina
  3. Rinascenti sono a vostra disposizione.

    RispondiElimina
  4. vogliamo parlare dell'espressione la fej c l'ov?? o preferisci i m naggia gi?
    ahahahha

    RispondiElimina
  5. "Se nu te scierri mai delle radici ca tieni
    Rispetti puru quiddre te li paisi lontani,
    Se nu te scierri mai de du ete ca ieni
    Dai chiu valore alla cultura ca tieni.
    Simu salentini te lu munnu cittadini,
    radicati alli Messapi cu li Greci e Bizantini!"
    Sud Sound System-Le Radici 'ca tieni

    RispondiElimina
  6. Lingua e dialetto, una dicotomia che ritorna continuamente.
    Quando lo stato d'animo si fa cupo, quando si dà una risposta improvvisa o quando il cartello VENOSA CITTA' DI ORAZIO troneggia sulla testa, immediatamente il cervello inserisce la doppia modalità linguistica. Senza preavviso, senza freno. Preservare la propria cultura, avvicinarsi alla cultura altrui anche a costo di capirci poco o nulla, ma conoscere la lingua comune a tutti per non avere ostacoli di comunicazione. Per esprimere, capire e imparare. Giorno dopo giorno. Perché la realtà è una, nonostante le mille sfumature.
    Lingua e dialetti. Sia l'una che gli altri hanno grammatica e lessico propri. La differenza principale sta nel prestigio culturale, soprattutto di tipo quantitativo, maggiore della prima a dispetto dei secondi. Pertanto, la lingua -se di prestigio quantitativo parliamo - è la summa di tutti i dialetti affini, così sostengono i sociolinguisti. Ma se questa affermazione è valida per i dialetti anglosassoni, che possono anche essere intesi come varietà locali della lingua ufficiale, non regge quando si passa ai dialetti nostrani. In Italia, infatti, i dialetti hanno una loro autonomia anche in termini di storia linguistica e culturale. E può andar bene un approfondimento del dialetto, quello che si parla nella propria città, ma mai perdere di vista lo studio di quella lingua che accomuna tutti i parlanti, da nord a sud, da est a ovest.

    Er Leone ariconoscente

    RispondiElimina